Attioni Spectaculose di Litterio e Mazzacanagghia – Romanzo di Rocambole Garufi / Capitolo III e IV

Attioni Spectaculose di Litterio e Mazzacanagghia – Romanzo di Rocambole Garufi / Capitolo III e IV

III

Quando don Camillo arrivò in canonica trovò lo studio di don Vittorio con la porta aperta ed affollato come il Sahara dalle due alle tre di un pomeriggio di luglio. Mazzacanagghia e compagnia cantante, infatti, se n’erano andati di sopra, a chiarire la simiglianza di Pasquale con Alain Delon davanti alle straordinarie focacce siciliane (con segale, olive nere, pomodoro secco e tanta tanta cipolla).

Lo studio era una cosa spartana spartana. C’erano una libreria con sopra un giradischi ed una scrivania con sopra un telefono ed un registratore, che fuggivano cartesianamente, a linee rette. Al confronto, i legni da carpenteria erano roba chic.

Le tavole ed i cassetti poggiavano su strutture in ferro, modello tubi Innoccenti. Negli anni sessanta dicevano che questo era lo stile svedese (ma, per noi la Svezia era un sogno sopratutto se si parlava di donne).

In un angolo, poi, era stato buttato un salotto, dove i mobili stavano lì, più che altro, unendo le solitudini. Vicino alle poltrone tossicchiavano polvere un tappeto copto a dominante rossa, un tavolinetto col ripiano di vetro ed una fitta plebaglia di carte della curia vescovile.

Sparse lungo le pareti, rantolavano ancora otto sedie sopravvissute dalla stanza da pranzo di un pio benefattore morto trent’anni prima. Erano solenni e cialtrone, più di un candidato al parlamento, con le spalliere alte e cornute, preziose di intagli e scomodissime.

– Comincia male! – disse, perciò, don Camillo al Crocifisso, mentre appariva sulla scena.

Fece un catarroso sospiro e volle uscir a riveder le stelle, traendo fuori dalla valigia la Sacra Immagine.

– Gesù, sarete stanco! – continuò. – Ma non ve la prendete se non abbiamo trovato il parroco alla stazione. Che possiamo farci? Sono pretini giovani… complicati!

Guardò per l’intero orizzonte, stringendo le palpebre, cercando il punto giusto per appendere il Crocifisso e farsene sovrastare.

– Va be’, santa pazienza!… – disse al Crocifisso. – Ora vi debbo sistemare… Vi lascio la vista della finestra.

– Siamo alle solite, don Camillo! – lo rimproverò il Crocifisso. – Io, che ho moltiplicato i pani ed i pesci ed ho mutato l’acqua in vino, avrei bisogno di una finestra, per vedere ciò che succede fuori di qui?

– No, no, Gesù! Voi non avete bisogno di nulla. La finestra serve a me. Così posso guardarvi anche dalla strada.

– Sempre pronto a girare la frittata, neh!

Don Camillo si fece raffigurazione ed imagine della puerizia sorpresa con le dita nella marmellata. Per fortuna, fu faccenda di poco tempo, poiché, dopo dieci secondi esatti, s’illuminò d’immenso. Allora, tolse dalla parete ‘nfaccia alla fenesta ca lucìa una Mareggiata del celebre artista Vincenzo Laricchia di Napoli, acquistata dal pio don Antonino Semenìa, per ben trecentomila lire. E lì appese il Crocifisso.

– Eppoi… – disse don Camillo. – Chi lo sa! Hai visto mai che a qualcuno capiti di alzare gli occhi!

– Per scoprire che?

– Per scoprire voi.

– Non ci sperare, figliolo! Questi sono tempi brutti. Oggi la gente, quando guarda in alto, non vede il cielo, ma soltanto cartelloni pubblicitari… e rischia di pensare che un Crocifisso sia soltanto l’ultima trovata di Oliviero Toscano!

– E chi è costui?

– Un artista, uno che fa soldi con le fotografie matte… sono sue le campagne pubblicitarie della Benetton.

– Gesù, non bestemmiate!

– E tu non essere antiquato.

In quel preciso istante don Vittorio era sul punto di bussare per entrare.

IV

Colendissimo lettore, immagina una testa che fa capolino.

– Don Camillo? – chiese la testa.

– Non sono Gina Lollobrigida – rispose don Camillo, con voce robustosa, et calorosa, et forte.

Don Vittorio produsse uno squittìo smorzato ed agitò freneticamente le mani aperte ed accostate, dall’alto in basso e con le palme in giù:

– Parli piano, per l’amor del Cielo!

– E perché?

– Siamo in una canonica, perbacco!

– Lo so, conosco l’ambiente.

– Allora sa pure che questi posti hanno mille orecchie!

– Alto là, amico!… Le canoniche non sono dei… posti, come dici tu. Fanno parte della Chiesa di Dio, altrocché! E chi ci ascolta è… soprattutto Lui!

– Non solo Lui, purtroppo.

– Delle altre orecchie… io me-ne-fre-go!

– Questa qui non mi è nuova… – sussurrò allora il Crocifisso a don Camillo, con una risatella fresca che gli gorgogliava in gola. – L’ho sentita da un tizio pelato, che ruggiva in un balcone di piazza Venezia.

– E’ che uno vorrebbe trattenersi… – disse don Camillo. – Ma, sentendo certe cose! La pazienza scappa!

– A noi dunque, camerata don Camillo! – concluse il Crocifisso.

– Non esageriamo! – si schernì don Camillo. – Al giorno d’oggi, non si usa più.

– Non ci sono più camerati?

– No, quelli ci sarebbero… Ma chi li sente più ruggire? Al massimo vanno a fare le fusa nelle televisioni di Berlusconi.

Mentre la scena tra il Crocifisso e don Camillo andava dipanandosi, don Vittorio se n’era stato a guardare senza capirci na mazza, come sogliono dire a Parigi.

Egli, don Vittorio, non aveva il privilegio di sentire la voce di Gesù e nel moderno concetto positivistico del mondo tutto ciò che non si vede, non si tocca e non si sente semplicemente non esiste. Esso, il moderno concetto, fra l’altro, mi strazia l’anima, se penso che Sharon Stone, bella e bona, non mi ha mai né visto, né toccato, né sentito.

– Come la fa facile! – disse don Vittorio. – Lei che problemi ha? Si porta dietro un Crocifisso e si è tolto il pensiero! Che ne sa, lei, delle responsabilità d’un parroco, dopo il Concilio Vaticano Secondo?

– Nulla! Ai miei tempi si era fermi al Vangelo.

– Invece, mi perdoni, oggi anche la Chiesa vuol giocare il suo ruolo in politica.

– Bene! Noi con chi stiamo?

– Con nessuno… Ma, di sicuro siamo contro la destra reazionaria!

– Ma non eravamo contro i rossi?

– Eh no, don Camillo! La Chiesa non può andare contro la storia… Guardi che, se dovesse tornare in terra, anche Gesù… voterebbe a sinistra!

A tale enormità, don Camillo balzò in direzione di don Vittorio e parve un giaguaro molto appesantito.

– Gesù mio, perché fra le virtù cristiane ci avete messo pure la pazienza? – chiese al Crocifisso ed i suoi occhi speravano in un’immediata riscrittura della legge.

– Chi l’ha detto? – disse il Crocifisso. – Non ricordi come cacciai i mercanti dal Tempio?

– Oh, be’! Allora… – fece don Camillo e gli tornò nel volto il sole che sorge libero e giocondo. Strinse i pugni, mostrò i canini e s’avviò verso don Vittorio.

– Ho detto i mercanti, non i preti – lo bloccò il Crocifisso.

– E quello lì, a voi sembra un prete?

– Ha il suo modo di amarmi, anche se tu non riesci a capirlo… Se permetti, io so comprendere il cuore degli uomini.

Il ragionamento filava, come Berta ai beati tempi. Il nostro don Camillo fu subito stretto in un laccio aereo ed impalpabile, ma solido ed infrangibile.

Rassegnato a gettar la spugna, don Camillo chinò la testa. Ma, lo squittìo di don Vittorio, insopportabile giovine, rinnovò la fiammata:

– Quando avrà finito di far boccacce davanti a quel Crocifisso, vorrei esporle i fatti…

– Gesù! – guaì don Camillo. – Non vedete che costui è una bestia senza senno, né criterio?

– Ammetto che è difficile difenderlo – concesse il Crocifisso.

– Questa non gliela faccio passare… – disse don Camillo e aggiustò la mira sugli obiettivi strategici del naso e degli occhi di don Vittorio.

Fortunatamente, il Crocifisso lo bloccò di nuovo, puntuale come il destino cinico e baro.

– Don Camillo! – ammonì il Sacro Simulacro. – Considera che io ho perdonato San Pietro… Anche lui mi aveva rinnegato!

– Facciamo così, allora… Voi lo perdonate ed io ci vado giù di brutto!

– Se non riesci a perdonare gli antipatici, che merito ne avrai ai miei occhi?

– Dirò dieci avemarie di penitenza…

– Non basterebbero per il mio perdono.

– E certo! Lui, che vi offende, può essere perdonato… Io, che vi difendo, invece no!

– Chi ha più fede ha più doveri, don Camillo. Questo in seminario dovrebbero avertelo spiegato. Sai che, più di ogni altra cosa, mi offende la violenza… specialmente se praticata in nome mio.

. Ecco! Vedete come con le parole mi imbrogliate sempre?… Va bene, sia fatta la vostra volontà!

Volse a don Vittorio un sorriso un tantinino orrido, anche se migliaia di formichine correvano dentro le sue mani.

– Però! – si fermò a considerare meditabondo il vecchio sacerdote, mentre guardava don Vittorio con l’occhio valutativo di Guglielmo Tell prima far partire l’infallibile saetta. – Che peccato! Mica volevo fargli molto male!… Al massimo, due o tre buffetti, così, a mani nude, dati si può dire in amicizia!

Volse speranzoso al Crocifisso gli obliqui rai fulminei.

– Allora, che ne dite? – chiese. – No? Non volete proprio?

Gesù tacque e non vi furono più incertezze. Quel silenzio era un niet, un diniego eterno ed inamovibile. Era uno scoglio dove s’infrangevano le onde del mare e le speranze del naufrago.

– Perciò i peccatori diventano sempre più arroganti! – esplose, allora, don Camillo. – Pare che ci proviate gusto a giocare con una squadra di mollaccioni!

In quel preciso istante, nella pupilla e nel cuore del canuto prelato si dilatò l’immagine di un Crocifisso ancor più triste ed ancor più compassionevole. Da fuori s’udì neniare lenta e dolce sui vetri la pioggia detta assuppaviddanu. In quella stanzetta non dell’ultimo piano, come pioveva, così Gesù piangeva!

Don Camillo, per la vergogna della frase che aveva pronunciata, si morsicò le labbra a sangue e si augurò di sprofondare nella dura terra… che, ahilui, non s’aprì!

– Perdonatemi lo sproposito – disse ad alta voce il vecchio, tornato umile, mansueto e tenero. – Fate conto che non ho parlato. Più tardi reciterò dieci avemarie di penitenza… Ora debbo essere gentile col pretino…

All’interdetto don Vittorio, egli, quindi, volse un faccione rotondo e gesuitico, come una forma di pane con un taglio orizzontale, in basso.

– E mi dica, reverendo figliuolo – fece don Camillo. – Ella, che non parla con le statue, ma con i padri conciliari, questa balzana idea del Cristo comunista l’ha presa da loro?

– No – rispose don Vittorio. – E’ una frase che ho sentito ieri dal senatore Bottazzi. Mi ha telefonato per dirmi che arriverà domani.