Bersenzio, Vittorio – Le miserie del signor Travet

Bersenzio, Vittorio – Le miserie del signor Travet

Il signor Ignazio Travet è un funzionario regio della Torino della fine Ottocento, lavora come impiegato nello stesso ufficio da 33 anni. Benché sia un uomo attento e scrupoloso sul lavoro, in tanti anni non ha mai ottenuto una promozione a causa dell’astio ingiustificato del capo sezione nei suoi confronti. Travet è un uomo dolce e remissivo e non osa mai ribellarsi, anche in casa dove la sua seconda moglie (egli è vedovo), Rosa, ancora giovane e bella, non perde occasione per trattarlo male e fargli subire le sue ambizioni[3]. Nella vita di Travet, però, entra casualmente un commendatore, un suo superiore, che porterà nuove miserie in casa Travet. Alla vicenda principale si intrecciano quella di un memorabile scocciatore, interpretato da Sordi, e quella del contrastato fidanzamento della figlia di Travet, Marianin, con un giovane considerato da Rosa Travet, la moglie, di estrazione sociale più bassa, perché figlio di un panettiere. La moglie si lascia corteggiare dal commendatore e Travet, per reazione, si ribella alle insinuazioni dei colleghi e viene licenziato[4]. Facendo tacere i pregiudizi si adatterà a lavorare in una panetteria.

(Adele Sciancalepore)

BERSEZIO, Vittorio

di Valerio Castronovo – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 9 (1967)

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BERSEZIO, Vittorio

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Nacque a Peveragno (Cuneo) nel marzo 1828 da Carlo, giudice al tribunale di Savigliano, esonerato dalla carica durante la reazione di Carlo Felice per trascorsi liberali e riammesso alla giudicatura di Borgo Po in Torino all’avvento di Carlo Alberto. Il B. fu avviato dal padre alla carriera forense, ma il corso di baccalaureato a Torino, sotto la guida dei professore di retorica G. De Andrea, ne confermò le inclinazioni letterarie, ed egli partecipò presto ai cenacoli della scuola di letteratura italiana del Paravia, legandosi d’amicizia con G. Prati, D. Cappellina, L. Marenco e altri scrittori subalpini. Quattordicenne, affrontò il suo primo lavoro, Le male lingue, composto sui tradizionali canovacci goldoniani, più tardi riesumato con fortuna sotto il nuovo titolo di Una bolla di sapone (Milano 1876). Le seduzioni del romanzo francese alla Dumas erano tuttavia troppo forti perché il B. non tentasse la via della produzione novellistica e della letteratura d’appendice, benevolmente ospitata sulle colonne di un ebdomadario femminile, poi su quelle più autorevoli delle Letture di famiglia.

La collaborazione al settimanale del Valerio, i rapporti con altri redattori, quali C. Balbo, C. Boncompagni, D. Buffa e G. Comero, segnarono il primo, concreto accostamento del B. ai temi della vita politica, anche se qualche orientamento in questo senso non era mancato fin dagli anni del collegio, nelle discussioni con i compagni di scuola P. C. Boggio, C. Nigra e M. Coppino.

La preparazione alla laurea in giurisprudenza, conseguita a Torino nel maggio 1848, interruppe per un poco la sua partecipazione al lavoro letterario e agli impegni della pubblicistica politica. Alle ultime battute della campagna del ’48 il B. aveva voluto tuttavia esser presente.

Arruolato nella brigata delle Guardie, partecipò allo scontro vittorioso di Staffalo il giorno precedente Custoza; sottotenente del 6° reggimento agli ordini dei Lamarmora alla ripresa delle ostilità, assistette ancora, il 23 marzo 1849, al doloroso epilogo di Novara.

Ritornato a Torino, il B. si diede alla pratica avvocatizia presso il cognato Vincenzo M. Miglietti, pur continuando a coltivare interessi letterari. Nel 1852-53 esordì nel teatro portando sulle scene del Carignano di Torino due drammi, il Pietro Micca e il Romolo, ove è evidente l’adattamento, tipico dell’epoca, degli ideali di amor patrio ai canoni classici dell’arte drammatica; seguirono altri tentativi in questo campo, restati come abbozzo.

L’interesse per la satira politica e il gusto per il genere umoristico, in un Piemonte che si apriva allora alla libertà di stampa, lo tratterranno per qualche tempo nel campo del giornalismo letterario e della pubblicistica di costume.

Il 1853 è l’anno dei “profili parlamentari” da lui tratteggiati con fine arguzia e spirito polemico sulle colonne dell’Espero, il giornale fondato con G. A. Cesana e G. Piacentini (in numero di venti, raccolti poi in opuscolo, Torino, giugno 1853).

Nel 1854 con la direzione dei Fischietto, il primo giornale umoristico illustrato italiano, il B. assurgeva a vasta popolarità, mentre la sua prima raccolta di novelle, Il novelliere contemporaneo (Torino 1855), faticosa ricostruzione di ambienti e costumi dell’epoca, lo rivelava al più ristretto pubblico della borghesia elegante e salottiera. Nel 1857 il B., dimessi gli impegni giornalistici, si trasferì a Parigi dove rimase sino al 1858, stringendo relazioni con gli scrittori locali e collaborando al Courier Franco-Italien del Carini e al Courier de Paris di F. Mornand. Ritornato a Torino, fu direttore, fino al 1865, della parte letteraria della Gazzetta ufficiale piemontese e poi del giornale La Provincia. È in questi anni, però, che prevale in lui l’interesse per l’attività di narratore e autore di teatro.

Invero, è evidente fin dal suo primo lavoro, Mina o Virtù ed Amore (Torino 1848), la filiazione dei B. dagli esempi francesi che informavano di tanta parte, con l’Hugo, il Balzac, il Dumas, il Sue, il gusto e gli orientamenti della letteratura del tempo. Romanzi “borghesi” di appendice, di intreccio ora sentimentale ora avventuroso, sono anche le opere successive: dal Segreto d’Adolfo (Torino 1861) a Odio (ibid. 1862; rimaneggiato poi sotto il titolo di Dea della vendetta, 2 voll., Roma 1885), sino a Povera Giovanna (Milano 1869) e a Ildebito paterno (ibid. 1880). “Era sua materia – scrive B. Croce – la borghesia e il popolo piemontese: suo sentimento ispiratore, una coscienza morale robusta e austera”. In effetti il B. andrà sviluppando, dietro certe convenzionali e bozzettistiche ricostruzioni ambientali, alcuni temi patriottici di più immediata attualità, dalle novelle ispirate alle vicende guerresche del ’48 di Amor di Patria (Torino 1856), a Domenico Santoro (Milano 1888), e alcuni timidi tentativi di introspezione sociale, ondeggianti fra l’impostazione romantica dell’Hugo e l’indagine di costume della scapigliatura milanese del Rovani, con la trilogia La Plebe (Torino 1869), Mentore e Calipso (ibid. 1873) e Aristocrazia (Milano 1881).

In pratica, come ebbe ad osservare il Terracini, l’interesse maggiore dell’opera letteraria del B., in apparenza slegata e così estesa in un arco di tempo di quarant’anni da giungere ad accogliere riflessi decadentistici e ad anticipare contemporaneamente alcuni motivi del verismo del Verga e del Capuana, sta “nell’essere essa una schietta testimonianza delle varie correnti che dominarono dal ’50 all’80 la nostra letteratura narrativa e drammatica”, come degli ideali che informarono il “periodo piemontese” del Risorgimento e l’opera di educazione morale e sociale seguita al raggiungimento dell’unità. In questo senso, la sua attività di scrittore e di commediografo e la sua esperienza di pubblicista e uomo politico sembrano procedere coerentemente e saldarsi in un unico contesto civile e morale. Già avverso al teatro piemontese dialettale in nome della “buona tradizione italiana”, il B. finì per convertirsi a esso, illustrandolo con una serie di commedie, su cui venne poi a fondarsi la sua fama.

Dopo La Beneficenssa (rappresentata a Torino il 24 genn. 1862), La Sedussion (20 febbr. 1862), ‘L Sangh bleu (24 maggio 1862), Ambissiôn (12 dic. 1862), La cassa a la dote (6 marzo 1863), il B. diede il meglio di sé in Le miserie d’Mônssu Travet (rappresentata a Torino al Teatro Alfieri il 4 apr. 1863 dalla compagnia di G. Toselli, edita a Milano nel 1871 e 1876 in riduzione italiana col titolo di Le Miserie del signor Travetti).

In questa commedia il B. non volle dare solo consacrazione artistica al teatro dialettale piemontese, ma intese esaltare anche quei concetti di consapevole onestà, laboriosità e senso di disciplina con cui la piccola borghesia subalpina si apprestava a servire decorosamente il nuovo Stato unitario uscito dalle lotte risorgimentali. Per altra parte, la commedia del B., che usciva infine dai drammi macchinosi, “ad effetto”, e di linguaggio accademico e forzato, era destinata a rappresentare una delle prime, più riuscite manifestazioni di autonornia nei confronti dell’invadenza del repertorio francese degli Scribe, dei Dumas, dei Sardou: “un’opera d’arte schietta, spontanea, piena di verità” la definirà il Croce.

Le opere del B. raggiunsero il culmine della loro fortuna tra il ’70 e l’80, dato anche il particolare momento storico di vita piemontese e nazionale a cui esse si collegavano e il loro netto distacco dalle precedenti, tradizionali produzioni dialettali di altre parti d’Italia. In questo senso, anzi, l’opera del B. seppe trovare il giusto equilibrio fra il gusto della psicologia di ambienti piccolo-borghesi e proletari e le esigenze rappresentative di moderato realismo che davano il tono alla copiosa produzione del teatro dialettale subalpino (dai lavori di L. Pietracqua a quelli di F. Carelli e G. Zoppis).

Tuttavia, quale espressione del teatro dialettale in fase declinante per l’affermarsi di nuovi gusti e orientamenti, le commedie popolari del B. ebbero vita effimera, tranne Le Miserie di Mônssù Travet (cui il B. fece seguire, senza grande successo, La prosperità di Mônssù Travet, andata per la prima volta in scena a Bologna il 7 apr. 1870) che, per le facili analogie con il cliché del protagonista divenuto presto tipico e proverbiale, incoraggiò successive elaborazioni in altri dialetti e fu più volte rappresentata nei teatri italiani e, appositamente tradotta, anche all’estero, con interpreti di grido, come A. Morelli, A. Zerri, G. Colloud, E. Novelli. La commedia, che ebbe a suo tempo le lodi del Manzoni e il cui nome del protagonista, Travet o Travetti, fu accolto nel dizionario del Petrocchi come sinonimo di povero impiegato, di piccolo burocrate, gode ancora oggi di estesa notorietà; tra le tante successive edizioni, quella curata dal figlio Carlo, per i tipi di Casanova, Torino 1929; la versione italiana, per R. Laguzzi, sulla rivista Il Dramma dei 1945; la ristampa della commedia nell’antologia di E. Croce.

Meno originale, come si è già detto, la sua produzione di narratore, non sempre estranea del resto alla fretta della composizione e alla trascuratezza della forma proprie degli impegni di pubblicista di mestiere; si salvano, per più matura e originale introspezione sociale, alcune pagine della Plebe, di Mentore e Calipso e di Aristocrazia. In questa trilogia è dato anzi ritrovare, secondo Giorgio Petrocchi, “il segno di trapasso che il B. attua in sé, tra la letteratura sociale del romanticismo e quella finisecolare di De Amicis, Oriani, De Marchi, Scarfoglio, la Serao, Verga, ecc.”. Ma questo trapasso, più che un valore di anticipazione, ha un significato meramente estrinseco, come rivela la successiva produzione del Bersezio.

Accenti spiccatamente regionalistici e intonazioni educatrici e moralistiche, nell’ambito delle concezioni moderate, caratterizzano anche la sua attività di giornalista politico, quale direttore dal febbraio del 1867 della Gazzetta piemontese, cui aggiunse la Gazzetta letteraria settimanale.

Il B. contribuì, in notevole misura, alla campagna condotta dal quotidiano contro la Destra, facendosi portavoce della piccola e media borghesia torinese che più accentuatamente aveva protestato nel ’64 per il trasporto della capitale a Firenze, e dei piccoli proprietari agricoli piemontesi minacciati dalla politica di inasprimento fiscale. Alieno dai compromessi della vita politica e parlamentare, si distinse per una stretta osservanza a rigidi criteri di moralità pubblica, secondo schemi tipici della tradizione piemontese.

Deputato per la Sinistra costituzionale di Cuneo nella IX e nella X legislatura (1865-1870), il B. non svolse una impegnativa attività parlamentare. Fautore del Depretis nel marzo del 1870, se ne distaccò già due anni dopo, in quanto avverso alla instaurazione di metodi troppo possibilistici nella prassi politica. Si accentuava nello stesso tempo, dopo il 1878 (con il progressivo passaggio della sua attenzione letteraria ad alcuni ambienti tipici delle classi più diseredate, che gli avevano fornito lo spunto per alcuni “romanzi sociali” di modello zoliano), la sua sensibilità ai problemi sociali, ai primi contrasti di classe conseguenti all’avvio a Torino del processo di industrializzazione. Egli non arrivò mai, tuttavia, a sviluppare una linea originale, al di fuori di alcune premesse dottrinarie tradizionali, alla Gioberti, o dell’azione paternalistica della borghesia illuminata. Di questa ritenne, comunque, che si dovessero stimolare sino in fondo le capacità intellettuali e produttive, in quanto unica forza omogenea e vitale. Solo da un coerente sviluppo capitalistico, del resto, le “classi subalterne” potevano attendere concreti vantaggi economici e le premesse per una “graduale e ordinata redenzione sociale”.

Questi stessi orientamenti politici si ritrovano nella produzione letteraria successiva all’abbandono, nel gennaio 1880, della Gazzetta piemontese: specialmente nel Regno di Vittorio Emanuele II, opera in 8 volumi (Torino 1878-1895), a metà fra l’agiografia e la memorialistica. Politicamente, appartiene al filone della pubblicistica moderata esaltante i valori più tradizionali e la funzione storica della dinastia sabauda. In una tale prospettiva, le compiacenze regionalistiche non potevano mancare: tuttavia, la rievocazione della Torino del ’48 (ripresa con tono familiare e affettuoso nelle Visioni del passato sulla Stampa nel ’98) e il ritratto di quei piemontesi “seri, rigidi, circospetti, di poche parole” che si accingevano ad edificare le basi amministrative del nuovo Stato unitario (sviluppato nei primi capitoli del saggio incompiuto Da Novara a Firenze) costituiscono forse le memorie più genuine e interessanti dell’intera produzione berseziana di quegli anni.

Nell’Archivio della famiglia Bersezio a Moncalieri (Torino) sono conservati: Corrispondenza varia, memorie diverse;due capitoli inediti (I e II) del lavoro Da Novara a Firenze; Una elezione di deputato, “farsa politica in due atti” (inedita).

Il B. morì a Torino il 30 genn. 1900.

Fonti e Bibl.: Arch. de La Stampa (Torino), scheda n. 16.382: Appunti per una cronistoria de “La Stampa”. Si vedano, anche, del B., gli scritti: Luigi Carlo Farini, Napoli 1861, pp. 2-11; Gazzetta letteraria (Torino), 6 genn. 1877; Gazzetta piemontese, 3 luglio 1879; Torino, in Torino, Torino 1880, pp. 21-24; Prime Armi. Il primo passo (note autobiografiche), Roma 1883; Visioni del Passato, ricordi stor.-biogr. raccolti su La Stampa, dal 5 febbr. al 26 sett. 1898. Vedi, inoltre: La storia de La Stampa (il nostro giornale, origini della Gazzetta piemontese), in La Stampa, suppl. al numero del 7-8 febbr. 1895; D. Orsi, Il teatro in dialetto piemontese, l’età dell’oro, Milano 1890, pp. 12 ss.; D. Orsi, V. B., in Nuova Antol.,1° marzo 1900, pp. 5-15; B. Croce, Note sulla lett. ital. nella seconda metà del sec. XIX, in La Critica, VI (196), pp. 169-178 (rist. in Letter. d. nuova Italia, Bari 1921, I, pp. 139 ss.); M. Mattalia, V. B., l’uomo, il patriota, l’artista, Cuneo 1911; G. Faldella, V. B.,in Piemonte e Italia, X,Torino 1911, passim; G. Deabate, Il giubileo di M. Travet, in La lettura,1913, pp. 5 ss.; E. Angonoa-O. Castellino, V. B., in Tre commediografi piemontesi, Torino 1926, pp. 23-30; C. Bersezio, Mio padre, in Subalpina, III, novembre 1930, p. 3; M. Fulcheri, Commento ad uno scrittore borghese, ibid., pp. 26-34; C. Milanese, Mezzo secolo di vita giornalistica, ibid., pp. 21-25; C. Monnet, Les misères de monsieur Travette et une pièce de Scribe, in Mélanges Hauvette, Paris 1934, pp. 729-735; C. Fresia, I figli della “Provincia granda” nei moti del Risorgimento, Cuneo 1938, passim; C. Pariset, Lettere inedite di V. B., in Rassegna storica del Risorg., XXVI(1939), pp. 247 ss.; E. Croce, Teatro ital. della seconda metà dell’Ottocento, Bari 1945, pp. 155 ss.; G. Petrocchi, Scrittori piemontesi del secondo Ottocento, Torino 1948, pp. 9-20; B. Terracini, in Encicl. Ital., VI, Roma 1930, p. 781; L. Russo, I narratori (1850-1950), Milano-Messina 1951, p. 45; V. Castronovo, La Stampa di Torino e la Politica interna italiana (1867-1903), Modena 1962, passim; W.Maturi, Interpretazioni del Risorg., Torino 1962, pp. 312-314; V. Castronovo, Giornalismo e giornalisti Piemontesi…, in Il giornalismo ital. dal 1861 al 1870, Torino 1966, passim.