Gente di Catania: il ritratto di una città nel teatro di Vitaliano Brancati – Un libro di Rocambole Garufi

Gente di Catania: il ritratto di una città nel teatro di Vitaliano Brancati – Un libro di Rocambole Garufi
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La vocazione per il teatro

di Rocambole Garufi

Aveva detto Brancati, a proposito di Pirandello:

“Si attribuiva a cuor leggero una missione di malignità e ne parlava a voce alta”1.

Aveva ragione e forse, sotto sotto, la stessa cosa pensava di se stesso, dato il piglio sarcastico che ha assunto una grossa parte della sua opera e l’occhio volutamente disincantato con cui egli guardava le realtà che descriveva.

Personalmente, però, ho il dubbio che, per compiere questa sua “missione”, lui non abbia scelto il genere a lui più congeniale e che, per dire ciò che gli urgeva dentro, gli sarebbe venuto più facile rivolgersi all’arte teatrale.

Un’occhiata alla sua produzione ci dà, infatti, una visione sufficientemente esatta di ciò che poteva essere e non è stato, di un grande genio dell’arte teatrale forse un po’ sprecato dietro pseudo-convincimenti etico-politici o filosofici.

Nel ritmo rapido e scattante delle sue frasi, nel dialogo tagliente e immediato, nel sapiente uso di un’ironia ormai consumata, noi scorgiamo senza fatica l’uomo di teatro, il commediografo sorridente e ammiccante.

Una delle sue più brillanti novelle, Singolare avventura di Francesco Maria, ci dà un significativo esempio di quanto esposto sopra. Qui Brancati, oltre a sfoggiare gli aspetti più lussureggianti del suo così detto “barocchismo”, ha uno stacco improvviso, e l’andamento narrativo è sostituito di colpo da una perfetta e compiuta azione scenica, con personaggi che non risentono minimamente nel disagio che dovrebbe causare loro lo sbalzare da un genere all’altro.

Sarà bene riportare un breve stralcio che illustri questo passaggio:

“Ma tornò a sedere.

-Ho questo- aggiunse con tono più calmo, – che Corrado Sapuppo è mio amico, mio carissimo amico! -.

Francesco Maria

Che vuol dire?

Il padre

Amico mio vero, amico mio antico, fratello!

Francesco Maria

Perché mi dici questo?

Il padre

(chiamando verso il corridoio)

Oh, Teresa! Sentilo un po’! mi domanda perché gli parlo del mio amico Sapuppo. Sentilo, sentilo un po’!”2.

Ma non sempre, chiaramente, gli esempi di questa vocazione sono così vistosi. Direi che al fondo dell’arte del siciliano vi era una specie di anima segreta che irresistibilmente lo portava verso la caratterizzazione rapida e precisa del personaggio e verso una predilezione per l’azione piuttosto che per la descrizione.

A questo proposito il critoci Enzo Lauretta, nella sua monografia sul Nostro, così si esprime:

“Il teatro fu per Brancati, come abbiamo già detto, una vocazione primaria che, come spesso accade, rimase una aspirazione mai giunta a vera maturità; uno stimolo che, dopo la prima infelice produzione, continuò a possederlo così caparbiamente che egli quasi incosciamente sconfinava nel teatro tessendo nel corpo di una novella una scena tecnicamente compiuta, oppure scrivendo sceneggiature per film”3.

Il tentare di spiegarci questa tendenza potrebbe, in fin dei conti, risultare utile ai fini di una totale comprensione dell’uomo. Personalmente, credo che essa sia dovuta al fatto che Brancati veniva fuori da un ambiente piccolo-borghese e soffriva di tutte le normali frustrazioni che questo suo stato comportava.

Soffocato dall’esagerato affetto di sua madre e dall’eccessiva severità di suo padre, egli praticamente si sentiva chiuso in una gabbia senza via d’uscita. Nell’ovatta della famiglia era costretto all’immobilità e privato di una vera vita. Il teatro presentava questo indubbio fascino: lo svolgersi d’azione, l’esplicarsi, in qualche modo, della vita. Il teatro in questa maniera diventava mezzo per uscire da una situazione di immobilismo, sua e dell’ambiente che lo circondava.

Forse, se Brancati avesse intuito a tempo questa sua tendenza e, di conseguenza, l’avesse sfruttata più appieno, adesso nella storia delle nostre lettere occuperebbe un posto molto più grande e probabilmente le sue opere non presenterebbero quelle tirate, un po’ noiose per la verità, in cui l’ideologo la vince sull’artista.

  1. 1 Vitaliano Brancati, Il borghese e l’immensità, Bompiani, Milano, 1973, pag.244.
  1. 2 Vitaliano Brancati, Singolare avventura di Francesco Maria, in Il vecchio con gli stivali, Mondadori, Milano, 1971, pag.175.
  1. 3 Enzo Lauretta, op. cit., pag. 69.