Peppone e don Camillo a Catania – Capitolo V di un Romanzo Comico di Rocambole Garufi

Peppone e don Camillo a Catania – Capitolo V di un Romanzo Comico di Rocambole Garufi

V

La parola Bottazzi fu per don Camillo una mazzata in fronte. Egli fece un balzo indietro, un balzo tale che un don Camillo dalle fattezze snelle non ne avrebbe fatto uno uguale, anche se si fosse trovato ad odorare pipì di gatto.

In quel cognome c’era un bel po’ della sua vita.

– Bottazzi chi? – ansimò.

– Bottazzi Giuseppe, senatore del Partito Democratico della Sinistra.

– Bottazzi Peppone, allora!

– Proprio lui. Almeno, così l’ho sentito chiamare dai compagni di qui. Andranno a prenderlo domani all’aeroporto, alle otto e quaranta in punto.

– Noto che adesso la rivoluzione viaggia in aereo.

– E, comunque vada, per me sarà la fine!

– Ecco perché mi hanno spedito quaggiù! Capisco pure il motivo per cui il Vescovo si soffermava tanto su certi ricordi del passato.

– Appunto! Lei è l’unico che saprebbe tener testa a quel ciclone umano.

– Non mi lusingare troppo, figliuolo. Va be’ che con Peppone ho sempre vinto io…

– La Chiesa ha di nuovo bisogno del suo aiuto, don Camillo!

– Ma, non siete voi, i pretini con gli occhialetti smisciasciati e le paroline zuccherate, quelli che tenete in piedi la Chiesa? Che ci fate con un vecchio picchiatore come il sottoscritto?

– Le chiediamo di difendere il lascito fatto a questa parrocchia dalla signora Elvira Guarini, moglie del senatore Bottazzi.

– Elvira Guarini? Ma, la moglie di Peppone non si chiama così… Eppoi, saranno dieci anni che è morta!

– Il senatore Bottazzi ha sposato la signora Guarini in seconde nozze, tre anni fa.

– C’era da aspettarselo! Quando mai un comunista ha avuto la sensibilità di restare fedele a un ricordo?

– Don Camillo, i comunisti non ci sono più. Ora quella gente è democratica. Addirittura, ha principi liberali!

– E’ vero! Ed io sono miss Italia.

– E la signora Elvira era una nobildonna… cattolicissima! Pensi che era dirigente di Comunione e Liberazione. Quando è morta casa Bottazzi sembrava la succursale del Vaticano.

– Povero Peppone, allora! Resta una testa d’asino, ma sono addolorato per lui.

– Lo siamo stati tutti… Fermo restando, però, il dovere di far rispettare le ultime volontà della defunta.

– Che sono?

– Ha lasciato il suo patrimonio alla parrocchia.

– Quanto?

– Cinque miliardi.

– Mizzica!

– Prego?

– Niente! Un omaggio alla buonanima, ch’era siciliana.

– La somma è in depositi bancari, aperti a nome della signora e mio.

– Scommetto che adesso Peppone parla come uno sporco capitalista!

– Macché, al contrario! Ce l’ha contro i preti e l’educazione cattolica.

– Ma, non è D’Alema, il suo capo, quello che vuole un Paese Normale?

– Infatti, Bottazzi parla come uno di Rifondazione Comunista.

– Mio Dio! Ai primi cinque, miserabili miliardi!

Don Vittorio si alzò ed andò a mettere in funzione il registratore vicino al telefono.

– Ascolti – disse. – Da quando hanno preso a minacciarmi, registro le telefonate.

Trafficò col registratore, col pollice e l’indice messi a sestante, finché non trovò il meridiano ed il parallelo, cioè il punto giusto. Quindi, fermo e solenne come un monumento, fissò don Camillo.

– Ascolti – ripetè.

La voce di Peppone se ne uscì fuori dall’ap-parecchiatura, come il latte scordato a bollire sul fornello:

– Non mi farò battere dalle trame del Vaticano!… Conosco i pretacci!… So bene che, se si deve ristabilire la legalità, è necessario spaccare le teste!

Qui don Vittorio zittì il registratore e si lasciò andare sulla sedia, ieratico come un’icona bizantina.

– E’ Peppone, non ci sono dubbi! – confermò don Camillo.

– Pure il sindacato si ci è messo – piagnucolò don Vittorio. – Pare che vogliano scendere in piazza un milione di lavoratori.

– E come fanno, se gli abitanti di questo paesino saranno diecimila, sì e no?

– Ha ragione! Ho fatto confusione… Il milione di lavoratori erano quelli della manifestazione di Roma.

– Già! Era la Sinistra contro la Destra.

– E dopo c’è stata la Destra contro la Sinistra… e poi la Sinistra-sinistra contro la Sinistra… E poi, ancora, la Sinistra-sinistra e la Sinistra contro la Destra e la Sinistra moderata…

Don Camillo volse i suoi impazienti occhi di peccatore al Crocifisso.

– Gesù! – sussurrò il vegliardo. – Chi ci capisce è bravo!

Il Crocifisso rimase solennemente immobile ed impassibile. Soltanto negli occhi di don Camillo ci fu l’immagine di un Crocifisso che sobbalzava indietro, inoridito.

– Ah no, don Camillo! – esclamò infine il Crocifisso. – Nella politica non mi ci trascini! Vedetevela fra voi!

– D’accordo – si scusò don Camillo. E subito riportò la sua attenzione su don Vittorio, dicendogli:

– Torniamo a Peppone, figliuolo.

– Qui andrà peggio di Roma – disse don Vittorio. – Il senatore s’è impegnato ad impiantare una fabbrica coi soldi dell’eredità.

– Ecco! Gratta gratta il comunista e vien fuori il capitalista!

– Ed ha promesso assunzioni a non finire.

– Clientelismo democristiano! Gli italiani, o sono democristiani, o vogliono diventarlo!

– Democristiani? Ma, la Democrazia Cristiana è morta!

– Chiamala morta! Chi gioca in Italia? All’attacco Prodi, Andreatta, Mancino; al centrocampo De Mita e Gerardo Bianco; e non parliamo della difesa, dove c’è… lui!

– Lui chi?

– L’innominabile!… Quello dei duecento milioni al mese dai servizi segreti… quello che… Io non ci sto!

– Scalfar… cioè, il presidente della Repu… cioè…?

– Ci siamo capiti!

– Zitto, allora!… O si va a finire in galera, come Guareschi con De Gasperi!

Quasi seguendo un canovaccio della commedia dell’arte, in quel momento si udì un bussare alla porta.

– Oh, mio Dio! Chi è? – esclamò don Vittorio.

Don Camillo annusò l’aria e parve il veltro che verrà e che farà morir con doglia la bestia malvagia e ria.

– Speriamo che sia la squadra di Peppone – disse. – Così, cominciamo a menar le mani!

Purtroppo per lui, torreggiò invece una voce di virago, alta e sinuosa come un pitone danzante al flautare del fachiro.

– Sono io – disse la voce.

Don Vittorio potè riprendere le sospese attività respiratorie e comunicare:

– E’ Lina Longo.

– Peccato! – fece don Camillo.